Chiunque si trovi in condizioni di estrema sofferenza va aiutato a gestire il dolore, a superare l’angoscia e la disperazione, non ad eliminare la propria vita. In questo momento in cui si stanno raccogliendo le firme per il referendum sull’eutanasia legale, l’Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute in collaborazione con l’Associazione Medici Cattolici Italiana (sez. Ancona) ha organizzato un incontro per sottolineare l’importanza del prendersi cura della persona malata con le cure palliative e la terapia del dolore. È necessario il rispetto della sofferenza e della vita umana, dal concepimento alla morte naturale.
Lunedì 27 settembre nella parrocchia SS. Cosma e Damiano sono stati invitati alcuni relatori, tra cui il Prof. Mauro Silvestrini, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche, che ha tenuto una relazione su “Quando il cervello muore: un processo complicato”. Tra gli ospiti, anche Fulvio Borromei, presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi Odontoriatri della Provincia di Ancona, Daniela Frondaroli (psicologa hospice di Chiaravalle), Mauro Dobran, neurochirurgo dell’ospedale di Torrette, Simone Pizzi, medico anestesista rianimatore dell’ospedale pediatrico Salesi e direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute, e Mons. Angelo Spina, Arcivescovo Metropolita di Ancona-Osimo.
Dopo l’introduzione del dottor Andrea Ortenzi, medico neurologo e presidente dell’AMCI (sez. Ancona) che, ha inquadrato il tema del rispetto della sofferenza e della vita, rispetto al quesito referendario che invece vuole legalizzare l’eutanasia, si è svolta una tavola rotonda. Il dottor Fulvio Borromei ha spiegato che «il nodo centrale è prendersi cura di chi soffre. Le cure palliative rappresentano uno strumento importantissimo per stare vicino alle persone malate e alle loro famiglie. Su questo dobbiamo rivolgere la nostra attenzione di medici e professionisti». Il dottor Mauro Dobran ha raccontato la sua «esperienza professionale con tanti pazienti a fine vita o in stato di coma permanente. Sono 30 anni che faccio questo mestiere e non mi è mai capitato qualcuno che mi abbia chiesto di morire». La psicologa Daniela Frondaroli ha invece raccontato la sua esperienza presso l’hospice di Chiaravalle: «Arrivano da me persone che hanno ricevuto una diagnosi di terminalità. A quel punto inizia il mio lavoro che sta nell’ascolto, nella relazione, nell’accettare i momenti di rabbia disperazione. Mi occupo dei pazienti, dei familiari e dell’equipe all’interno dell’ospedale. Seguo chi sta percorrendo l’ultimo tratto della vita e aiuto i familiari a relazionarsi con la persona malata».
Simone Pizzi ha sottolineato che «tra i due parametri del rispetto della vita e della promozione della persona esistono margini ampi e doverosi di prossimità e di intervento: quando il guarire è impossibile, il curare resta un compito che passa attraverso gesti caldi e discreti della tenerezza della sollecitudine. Si scopre così nella gratuità di una relazione con l’altro, solo in apparenza perdente, un altro modo attraverso il quale l’umanità dice il suo sì alla vita edificando un orizzonte di responsabilità che oltrepassa le inesorabili leggi della biologia. Lo slogan del referendum è “Liberi fino alla fine” e io credo che dobbiamo offrire ai malati tutti gli strumenti a disposizione perché sia pienamente rispettata la loro dignità e possano essere liberi di continuare a vivere: in particolare, potenziando le cure palliative e applicando la legge 38 che da 11 anni è dimenticata. Come sostiene papa Francesco, l’esperienza ci dice che, quando si è abbracciati, lo spettro dell’eutanasia si allontana».
La conclusione è stata affidata a Mons. Angelo Spina, il quale ha sottolineato che «non abbiamo il diritto di togliere la vita ad un’altra persona. Viviamo in piena pandemia ed è strano che, mentre si strappano alla morte tante vite umane affette da Covid-19, si chieda di legalizzare l’eutanasia. È triste che si voglia portare il Paese a legalizzare il gesto di dare la morte ad un fratello o ad una sorella. Facciamo parte tutti della stessa umanità ed è proprio nella debolezza che c’è urgenza di fraternità. Quando una persona chiede di morire, dietro a quella richiesta ci sono solitudine, indifferenza, abbandono. È necessario dunque riscoprire la relazione responsabile di cura: siamo tutti connessi e abbiamo il dovere di prenderci cura dell’altro. Dobbiamo andare verso un umanesimo di prossimità». Ricordando le parole che Papa Francesco ha rivolto ieri alla Pontificia Accademia per la Vita, l’Arcivescovo ha sottolineato anche che bisogna «lottare contro la cultura dello scarto. La vita umana mantiene la sua dignità dall’inizio fino alla morte naturale. Anche la Lettera “Samaritanus bonus” della Congregazione per la Dottrina della Fede ribadisce che “l’eutanasia è un crimine contro la vita umana perché con tale atto l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente. L’eutanasia è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza”».
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