La fragilità nella malattia, alla luce della fede e della speranza

É un invito alla speranza quello che è giunto dalle riflessioni proposte nel convegno “La fragilità della malattia”, organizzato giovedì 26 settembre nella parrocchia SS. Cosma e Damiano, dall’Ufficio Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Ancona-Osimo con l’associazione Medici Cattolici Italiani. «Abbiamo organizzato questo incontro – dichiara Simone Pizzi, direttore dell’Ufficio Pastorale della Salute – perché il tema della fragilità nella malattia riguarda tutti e, in situazioni di sofferenza, è importante coltivare la speranza. Un aiuto fondamentale lo possono dare le persone che stanno accanto a coloro che soffrono».

Dopo l’introduzione del parroco don Davide Duca, l’incontro è stato moderato dalla dottoressa Rosanna Cordiali (pediatria ospedale Salesi) e dal professor Mauro Dobran (Neurochirurgia Univpm e Consiglio direttivo Amci sez. Sandro Totti) e sono intervenuti Roberto Mancini, professore di filosofia dell’Università di Macerata, e Fra Enrico Matta, cappellano nell’ospedale regionale di Torrette. Mancini ha parlato in particolare della fragilità e dell’etica della cura. «Otre agli aspetti tecnici e agli interventi di tipo medico e specialistico – ha detto Mancini – sono importanti la relazione tra le persone, l’umanità e l’accoglienza che aiutano i malati nel cammino di guarigione. Il rapporto tra medico e paziente deve essere una relazione tra persone, non semplicemente un rapporto tra ruoli. Sono quindi importanti l’ascolto, il dialogo, l’informazione, dedicare il tempo al paziente, altrimenti non ci si incontra e il paziente si sente disperso, in balia delle circostanze, mentre invece dovrebbe sentirsi accolto come persona».

«Si può stare vicino ad una persona malata nella fede – ha detto fra Enrico Matta, cappellano nell’ospedale regionale di Torrette – la carità ci spinge a star accanto alle persone. In ospedale cerco di portare l’amore di Dio, la sua presenza, il suo aiuto, il conforto, la pace e la consolazione. Non qualcosa di mio. Fondamentale poi è coltivare la speranza ed è la fede che non ci fa perdere la speranza». Ci sono anche tante testimonianze di persone che attraverso la malattia hanno incontrato l’amore di Dio e fra Enrico ha spiegato che «la croce di Cristo ci fa capire e comprendere che la sofferenza donata può diventare fonte di speranza e di vita».

La conclusione è stata affidata all’Arcivescovo Angelo Spina, che ha invitato a riflettere sul fatto che «siamo tutti fratelli. Quest’anno è dedicato a Francesco d’Assisi che è partito da questo porto ed è andato a vivere un incontro e un dialogo. Francesco nei suoi scritti non usa mai la parola “nemico”, ma usa sempre la parola “fratello”. Una parola che dobbiamo recuperare non solo come pensiero, ma anche come azione che diventa relazione. Dio è nostro padre e noi siamo suoi figli e, quindi, fratelli. Essere fratelli significa dare la vita, come ha fatto Gesù in croce». Infine l’arcivescovo ha fatto una riflessione sulla recente decisione della Consulta che ha aperto al suicidio assistito. «Ho letto un’intervista – ha raccontato l’arcivescovo – in cui un uomo ha commentato la decisione della Consulta, dicendo che ora siamo tutti più liberi. Per me invece siamo diventati tutti più disumani e inumani, perché abbiamo perso il legame della fraternità. La fraternità non abbandona e non toglie, ma accoglie, cura, sta accanto e dà speranza».