VI Domenica del tempo ordinario – XXVI Giornata nazionale per il malato
(Lv 13,1-2.45-46;Sal 31;1Cor 10,31-11,1 Mc 1, 40-45)
CATTEDRALE S. CIRIACO – ANCONA
Domenica 11 febbraio 2018
Cari fratelli e sorelle, in questa domenica la parola di Dio ci parla della malattia che tocca l’uomo ed in particolare una di queste, terribile, la lebbra. Oggi noi questa malattia o morbo di Hansen la conosciamo, avendo scoperto il batterio che la causa, e si cura, si sa da dove deriva, ma nell’antichità non si sapeva.
Ecco perché la prescrizione mosaica era che chi aveva questa malattia o malattie simili doveva essere messo fuori dalla comunità, isolato; doveva vestire in un certo modo, stracciato, con un velo che lo coprisse fino al naso e camminando, quando incontrava qualcuno, doveva dire “sono immondo” per non essere avvicinato. Era una cosa terribile perché significava l’emarginazione dagli altri, la sofferenza del proprio corpo. Poi era subentrata l’idea che chi aveva delle malattie, che chi soffriva, è perché aveva commesso dei peccati e stava scontando le punizioni di Dio.
Gesù nel Vangelo ribalta interamente questa visione, con tutte le scoperte mediche che abbiamo quando una persona ha delle malattie particolari viene ricoverato nel reparto delle malattie infettive, non ci si può avvicinare oppure dobbiamo utilizzare tutte le precauzioni necessarie.
Gesù rompe queste barriere e da Gesù va il lebbroso, il lebbroso, che doveva stare a distanza, si avvicina, si inginocchia e rivolge la preghiera bellissima che abbiamo ascoltato: “ Se vuoi, puoi purificarmi!” (Mc1,40). Bellissima questa invocazione, che dovremmo fare per ognuno di noi, Gesù se vuoi puoi purificarmi, puoi togliermi questo male.
Il Vangelo sottolinea che “Gesù ne ebbe compassione” (Mc 1,41) cioè si immedesimò tanto nella sofferenza di quell’uomo che fece una cosa insolita, “tese la mano, lo toccò” (Mc 1,41).
E gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”(Mc 1,41).
Questa pagina del Vangelo a me ha aiutato molto, perché tre anni fa ero in missione in Africa, in una grande città Douala in Camerun e andai in un lebbrosario, mai avevo visto da vicino un lebbrosario, avevo letto, avevo seguito tanto l’Associazione “R. Follerau” che si interessa di questa categoria di malati, ma non avevo mai incontrato dei lebbrosi.
Quando sono entrato in quel luogo, passando in mezzo a loro, vedevo che mi volevano dare la mano, volevano che io mettessi la mano sul loro capo e dessi la benedizione e mi chiamavano “mon père!”, “mon père!” e lì c’è stato un attimo di difficoltà, dargli la mano o non dargliela? Mettergli la mano sul capo oppure non mettergliela? Era come se ci fosse una cosa che mi trattenesse …questo Vangelo mi ha aiutato molto.
Gesù che ha fatto? Si è messo vicino … allora diedi loro la mano, così appoggiai la mia mano sul loro capo e diedi la benedizione e non posso più dimenticare i volti di quegli uomini e di quelle donne sfigurati dalla lebbra, così pieni di serenità e del loro sorriso, perché qualcuno aveva abbattuto i muri e si era fatto prossimo.
Gesù ha compiuto il segno grande, c’è una invocazione forte: “Se vuoi puoi purificarmi!”… “Lo voglio, sii purificato!”
Tutto ciò cosa dice a me e a voi? Qual’é il nostro atteggiamento, non verso la malattia, ma verso il malato? Perché il malato non è una malattia, il malato è una persona, e quando ci accostiamo ai nostri fratelli sofferenti nel momento in cui sono segnati dalla malattia e a volte per tutta la vita, costruiamo dei ponti, oppure prendiamo le distanze e costruiamo i muri … Occorre dire fermati anche tu, perché anche tu sei ammalato e tutti noi che siamo qui, siamo dentro un male terribile, questo male terribile è peggiore della lebbra, si chiama peccato.
E’ il peccato che ci toglie Dio, che ci toglie il prossimo, che deforma la nostra persona; se noi non abbiamo dentro l’amore di Dio non siamo più umani, ma siamo disumani perciò deformati a tutti.
Gesù viene e ad ognuno di noi se lo invochiamo lui viene e ci purifica, perché Gesù non ha vergogna di noi, non ha paura, ci tocca e ci guarisce, con il suo amore, con la sua morte di croce e con la sua resurrezione.
Il messaggio che il Santo Padre ci ha dato per questa giornata è bellissimo, Gesù al massimo della sua sofferenza sulla croce vede giù la mamma e la chiama “donna” e c’è il discepolo Giovanni “Donna ecco tuo figlio!” e al discepolo: “ Ecco tua madre!”.
Questa scena è sconvolgente, perché Gesù ci dà una Madre, chi é quella madre? E’ il momento in cui sta soffrendo di più. Voi donne che avete generato una vita sapete che cosa sono le doglie del parto, è un momento doloroso, un momento di incertezza, difficile; ebbene Maria pur non avendo dovuto partorire in quel momento, ha dovuto nella sua anima accogliere tutti noi, nel momento massimo del dolore lei vede il Figlio soffrire e morire con tanta sofferenza.
Che cosa fa lei? Si arrabbia, maledice, protesta? Cosa fa? E’ disperata? No! Lei sta lì e con quelle mani aperte offre quel dolore e quel figlio al Padre, immolato per la nostra salvezza.
Ecco cosa fa Maria: prende tutto il dolore, tutta la sofferenza, quella spada che le passa l’anima, quel Figlio che le sta morendo e trasforma il dolore in amore.
Che cosa ci fa con il dolore? Perché abbiamo il dolore? A che serve? Gesù ci ha detto che lui ha sofferto e questo dolore è una via di redenzione, noi diremo durante il periodo quaresimale nella Via Crucis “Ti adoriamo e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo” e la croce è segno della sofferenza, del dolore e della morte.
Lui ha redento l’uomo, ecco perché noi in ogni persona sofferente, in ogni persona ammalata, stiamo vedendo Gesù sofferente, Gesù ammalato. Ero malato e sei venuto a trovarmi, quando? Quando lo hai fatto ad uno di questi più piccoli lo hai fatto a me, ma perché questo dolore?
Gesù si è offerto lui come unico mediatore, Maria in quell’atteggiamento sacerdotale ha sofferto e offerto e come dicevo ha cambiato il dolore in amore.
Cosa possiamo fare noi? S. Paolo ce lo ha spiegato: “Io completo con i miei patimenti, quello manca alla passione di Cristo a favore del suo Corpo che è la Chiesa.” (Col 1,24)
Alla passione di Cristo non manca niente, ma S. Paolo ha voluto far capire che questo dolore, se noi lo offriamo, ha un significato salvifico.
Quanti ammalati oggi ci insegnano a vivere, quanti ammalati sono i cirenei della gioia, quelli che portano la croce con la gioia dentro, sono gli operai silenziosi della croce, che stanno accanto a Gesù, soffrono con lui e Gesù soffre con loro e loro soffrono e offrono: è una preghiera senza parole, è la preghiera nuda, quella del dolore che Dio ascolta e trasforma, e trasforma il mondo, trasforma la vita e la nostra vita lui la trasformerà in luce di resurrezione.
La Madonna ci accompagna, apparendo a Lourdes a Bernadette, cosa le disse? “Io sono l’Immacolata”, ovvero “Io sono senza peccato, ma mi unisco al dolore e desidero che in questo luogo venga costruita una cappella e che quì vengano in pellegrinaggio … e quando si va, qui abbiamo l’UNITALSI, si portano i malati. Che cosa avviene lì? Qualche cosa di grande e ci rendiamo conto come siamo piccoli e come tante cose che abbiamo, che facciamo siano superflue di fronte a chi in silenzio soffre, offre, prega e porta la sua croce.
S. Bernadette che aveva ricevuto le apparizioni della Madonna se ne andò a Nevèrs nel convento nel quale non ebbe vita facile. La superiora del convento la trattava malamente, tutti voi sapete che Bernadette si ammalò di una brutta malattia, la tubercolosi ossea, ebbe la gamba che andava in cancrena, la superiora la umiliava tutti i giorni e l’aveva messa a pulire i pavimenti.
Un giorno Bernadette era molto stanca e sofferente e non diceva niente, puliva il pavimento e la superiora per dispetto rovesciò l’acqua del secchio in terra, un gesto per dirle che non valeva niente, che era una visionaria e che quello che aveva visto non era vero.
Bernadette non disse niente, ma in quel momento il lembo della veste si mosse e quando la superiora vide sulla caviglia questa ferita purulenta si spaventò e si chiese come mai portasse una sofferenza così grande senza mai un lamento.
La superiora cambiò vita, prese la superbia e la mise sotto i piedi, e Bernadette divenne santa, perché tutti i santi, come S. Pio da Pietralcina, sono passati attraverso la via del dolore, della croce che umanamente ci spaventa, ma con la luce della fede é la via della salvezza.
Ecco perché vogliamo pregare per tutte le persone sofferenti, ammalate, per coloro che si dedicano con amorevole cura ad assisterli, per quanti, attraverso la scienza, studiano i possibili rimedi, per coloro che lavorano nelle case di cura e negli ospedali e la Madonna ci aiuta, ci è stata data come Madre per questo noi le diciamo: Maria tu che sei santa prega per noi, per noi che siamo peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen!
† Angelo Arcivescovo
(Il testo dell’omelia è stato trascritto direttamente dalla registrazione, senza revisioni da parte dell’ autore)
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