XXXIII Giornata mondiale del malato: Santa Messa nell’ospedale di Torrette

L’11 febbraio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, è stata celebrata la XXXIII Giornata mondiale del malato, incentrata sulla speranza, filo conduttore del Giubileo 2025. Per questa Giornata il Papa ha infatti scelto come tema un passo della lettera di San Paolo apostolo ai Romani: «La speranza poi non delude», anzi, ci rende forti nella tribolazione. Un messaggio in continuità con il motto scelto per l’anno giubilare: “Pellegrini di speranza”.

Nel primo pomeriggio, Mons. Angelo Spina ha visitato alcuni reparti dell’ospedale di Torrette e ha celebrato la Santa Messa presso il vecchio ingresso dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche. Accompagnato dal direttore sanitario dell’ospedale Claudio Martini, dal cappellano dell’ospedale padre Enrico Matta, dal direttore e dall’assistente spirituale dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute Marco Cianforlini e don Francesco Scalmati, l’Arcivescovo ha visitato i reparti di Clinica medica e di Chirurgia epatobiliare, pancreatica e dei trapianti, ha donato una parola di conforto e speranza ai degenti e ha benedetto i malati, i medici e gli operatori sanitari.

È poi iniziata la celebrazione eucaristica, a cui hanno partecipato anche i volontari che si prendono cura dei malati. Mons. Angelo Spina ha ringraziato il Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche, Armando Gozzini, il direttore sanitario Claudio Martini, lil direttore amministrativo Cinzia Cocco, i cappellani dell’ospedale, la Consulta diocesana per la Pastorale della Salute, i volontari e ha sottolineato che chi assiste un malato è un «angelo di speranza». Ha quindi ricordato il messaggio che il Santo Padre ha scritto per la XXXIII Giornata mondiale del malato: «Come rimanere forti, quando siamo toccati nella carne da malattie gravi, invalidanti, che magari richiedono cure i cui costi sono al di là delle nostre possibilità? Come farlo quando, oltre alla nostra sofferenza, vediamo quella di chi ci vuole bene e, pur standoci vicino, si sente impotente ad aiutarci? In tutte queste circostanze sentiamo il bisogno di un sostegno più grande di noi: ci serve l’aiuto di Dio, della sua grazia, della sua Provvidenza, di quella forza che è dono del suo Spirito».

Ha quindi invitato i presenti a riflettere sulla presenza di Dio vicino a chi soffre, in particolare sotto tre aspetti che la caratterizzano: l’incontro, il dono e la condivisione: «Gesù, quando invia in missione i settantadue discepoli, li esorta a dire ai malati: “È vicino a voi il regno di Dio”. Chiede, cioè, di aiutare a cogliere anche nell’infermità, per quanto dolorosa e difficile da comprendere, un’opportunità d’incontro con il Signore. Nel tempo della malattia, infatti, se da una parte sentiamo tutta la nostra fragilità di creature – fisica, psicologica e spirituale –, dall’altra facciamo esperienza della vicinanza e della compassione di Dio, che in Gesù ha condiviso le nostre sofferenze. Egli non ci abbandona e spesso ci sorprende col dono di una tenacia che non avremmo mai pensato di avere, e che da soli non avremmo mai trovato».

Mons. Angelo Spina ha anche ricordato che «mai come nella sofferenza, ci si rende conto che ogni speranza viene dal Signore, e che quindi è prima di tutto un dono da accogliere e da coltivare, rimanendo “fedeli alla fedeltà di Dio”, secondo la bella espressione di Madeleine Delbrêl». Il terzo aspetto è quello della condivisione: «I luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione, in cui ci si arricchisce a vicenda. Quante volte, al capezzale di un malato, si impara a sperare. Quante volte, stando vicino a chi soffre, si impara a credere. Quante volte, chinandosi su chi è nel bisogno, si scopre l’amore. Ci si rende conto, cioè, di essere “angeli” di speranza, messaggeri di Dio, gli uni per gli altri, tutti insieme: malati, medici, infermieri, familiari, amici, sacerdoti, religiosi e religiose; là dove siamo: nelle famiglie, negli ambulatori, nelle case di cura, negli ospedali e nelle cliniche. Ed è importante saper cogliere la bellezza e la portata di questi incontri di grazia e imparare ad annotarseli nell’anima per non dimenticarli: conservare nel cuore il sorriso gentile di un operatore sanitario, lo sguardo grato e fiducioso di un paziente, il volto comprensivo e premuroso di un dottore o di un volontario, quello pieno di attesa e di trepidazione di un coniuge, di un figlio, di un nipote, o di un amico caro. Sono tutte luci di cui fare tesoro che, pur nel buio della prova, non solo danno forza, ma insegnano il gusto vero della vita, nell’amore e nella prossimità».

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